Monetizzare i dati aziendali: cosa sapere prima di investire in tecnologia

Secondo una ricerca effettuata da ITIR – Institute for Transformative Innovation Research dell’Università di Pavia – su oltre 500 C-Level italiani in area innovazione e sostenibilità, la digital transformation in azienda ha un impatto soprattutto sulla strategia digitale e sui paradigmi tecnologici. All’ultimo posto si colloca invece la capacità di monetizzare i dati che la digitalizzazione dei processi produce.

Un risultato significativo, che evidenzia una scarsa consapevolezza sul valore dei dati come fonte di revenue. Eppure, è proprio dalla valorizzazione dei dati che nascono nuovi modelli di business, processi più efficienti e nuove opportunità di ricavo.

Durante la tavola rotonda “Digital + Innovation” all’ITIR Summit 2025, c’eravamo anche noi di ELEVA e abbiamo portato il nostro punto di vista con un intervento del nostro CSO Luca Formenti. In questo articolo, vi lasciamo gli spunti più interessanti della giornata.
- Focus sul problema: la tecnologia è solo un mezzo
- Gli obiettivi della digitalizzazione
- Tanta digitalizzazione, poca innovazione
- Il ruolo del cloud nell’innovazione: il caso Abit
- La cultura del dato nei team
Focus sul problema: la tecnologia è solo un mezzo
La digitalizzazione supporta la vera innovazione quando si parte da un problema concreto da risolvere. La tecnologia è un mezzo, non è il fine. Partendo dalla fase di individuazione degli obiettivi da raggiungere, passando per la validazione dell’idea, fino al go-to-market, la raccolta ed analisi dei dati gioca un ruolo chiave.
Chi opera nel settore della trasformazione digitale, deve guidare le PMI nella scelta della soluzione che le aiuti a rilevare, proteggere e sfruttare al meglio i propri dati. Per farlo, serve un approccio cloud native e competenze strategiche, ma sempre più difficili da trovare sul mercato.
Gli obiettivi della digitalizzazione
Il raggiungimento degli obiettivi deve avere un valore per il progetto e garantire un ritorno economico misurabile. Questo vale sia per innovazioni radicali, che per innovazioni incrementali o su sistemi legacy.
Analisi degli obiettivi e degli stakeholder sono uno step imprescindibile per orientare la digitalizzazione, i team coinvolti e i relativi investimenti. Se il mio obiettivo è ottenere fondi dagli investitori, non avrà senso dedicare troppe risorse al prodotto finito. Piuttosto, sarà utile ragionare con un approccio agile e iterativo, partendo dalla creazione di un MVP da testare subito sul mercato. Se devo aumentare il Total Customer Value dell’azienda, l’obiettivo sarà acquisire nuovi utenti attivi e sviluppare soluzioni che migliorino l’usabilità del mio prodotto e la retention. Voglio accrescere i flussi di cassa? In quel caso dovrò puntare su processi per favorire vendite e sottoscrizioni. Investirò in automazione, invece, se il mio scopo è risparmiare tempo e migliorare la produttività dei miei dipendenti.
Tanta digitalizzazione, poca innovazione
Secondo i risultati dello studio, la maggior parte delle aziende oggi investe in piccole innovazioni incrementali che vanno a migliorare singoli processi. Oppure si concentra sul rinnovo dei propri software e approcci legacy. Una percentuale decisamente minore invece punta su innovazioni radicali nel proprio mercato.

Cosa accomuna i casi che appartengono a quest’ultima categoria?
- Si focalizzano su un elemento chiave, un singolo problema ben definito
- Si differenziano dai competitor / dalle soluzioni in uso
- Sono soluzioni semplici per l’utente, non si devono spiegare
- Sono i migliori nella propria area di competenza
- Producono risultati misurabili
In tutti questi casi, la tecnologia è solo un mezzo con cui raggiungere uno scopo e il dato è al centro del modello di business. Il cloud è l’altro grande attore in questo scenario: l’infrastruttura “invisibile” agli utenti, da cui dipende il funzionamento e la continuità di qualsiasi servizio digitale.
Il ruolo del cloud nell’innovazione: il caso Abit
Una case history utile a comprendere questo paradigma è quella di Abit, un’azienda che sta ridefinendo il concetto di agricoltura sostenibile attraverso tecnologia e intelligenza artificiale.
Di fronte alla crescente difficoltà nel soddisfare gli standard di certificazione di sostenibilità, ha realizzato una soluzione scientifica, semplice ed esaustiva per la rendicontazione delle performance. Partendo da un semplice campione di suolo, attraverso un’analisi completa della biodiversità, Abit fornisce informazioni precise sulla qualità del terreno. Elaborando questi dati con algoritmi di AI, attraverso un indice scientificamente validato, definisce strategie di lungo termine per il successo dell’agricoltura sostenibile.
Dietro a una semplice fruizione per le aziende agricole, c’è una complessa infrastruttura basata su AWS. La flessibilità e la scalabilità offerte dall’architettura cloud serverless hanno concesso all’azienda di accelerare il time-to-market in tempo per la stagione agricola, concentrandosi sullo sviluppo dell’applicazione, senza dover pensare all’infrastruttura. La startup ha creato un MVP per app mobile in soli 6 mesi utilizzando AWS Amplify e si appoggia ad Amazon SageMaker per sviluppare i suoi sistemi di previsione IA per una gestione più efficiente delle colture, basata sui dati processati. Questo paradigma (se vuoi saperne di più, abbiamo scritto di funzioni serverless, microservizi e app cloud native in alcuni nostri articoli) non solo accelera la realizzazione di nuovi prodotti innovativi da testare sul mercato. Nel tempo offre anche alle aziende spazio per crescere e maggiore efficienza.
La cultura del dato nei team
Dall’esempio appena riportato, è evidente la centralità che i dati possono avere nel creare valore. Lo sviluppo delle tecnologie di AI non farà altro che accentuare questo trend. Se osserviamo però i risultati della ricerca, notiamo che l’importanza attribuita ai dati è ancora bassa tra i Chief Digital Officer.

Per portare un vero cambio di approccio occorre agire a livello di cultura dell’innovazione.
Team tech e business devono avere sinergie più forti. Il gap di competenze tra queste due funzioni può produrre conseguenze negative sulla qualità dei prodotti digitali realizzati e quindi sulla possibilità di trarre il massimo dai dati aziendali. Per accorciare le distanze tra ciò che richiede il mercato e la spinta che può arrivare dalla tecnologia, occorre rivedere metodi e processi. Le competenze che servono per portare vera innovazione sono sempre più specifiche, rare ed eterogenee. Richiederanno una migliore orchestrazione fra team interni ed esterni e un metodo agile fatto di iterazioni brevi e confronto continuo, per una gestione più efficiente delle risorse.